«Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla col suo amico. Poi questi tornava nell'accampamento, mentre il suo inserviente, il giovane Giosue, figlio di Nun, non si allontanava dall'interno della tenda» (Esodo 33,11). Entra così in scena colui che sarà l'erede di Mosè e il protagonista della conquista della terra promessa. In un altro passo biblico egli aveva rivelato tutto l'ardore della sua età quando aveva reagito al fatto che lo Spirito del Signore era sceso su due uomini, Eldad e Medad, non cooptati da Mosè nel "senato" dei settanta anziani: «Giosuè, figlio di Nun, servitore di Mosè fin dalla sua giovinezza, prese la parola e disse: Mosè, mio signore, impediscili!» (Numeri 11,28).
Ma la grande guida dell'esodo di Israele dall'Egitto aveva reagito con magnanimità spegnendo i bollori del suo giovane collaboratore: «Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre il suo spirito su di loro!» (11,29).
È impossibile in poche righe delineare un ritratto di questo giovane successore di Mosè, a cui è intitolato un intero libro dell'Antico Testamento, ma la cui presenza affiora già a partire dai primi eventi di Israele nel deserto del Sinai durante la marcia dell'esodo verso la terra promessa. Lo incontriamo, infatti, per la prima volta durante la battaglia contro il popolo di Amalek: è a Giosuè, membro della tribù ebraica di Efraim, il cui nome era un simbolo ("il Signore salva", variante dello stesso nome di Gesù), che Mosè affida la direzione dell'armata ebraica (Esodo 17,9-16).
Il risultato è trionfale e da quel momento il suo nome sarà legato soprattutto a imprese militari. Egli sarà accanto a Mose, del quale diverrà "aiutante", sulla vetta del Sinai (Esodo 24,13; 32,17) e, come si è sopra visto, sarà anche il custode della tenda santa dell'alleanza, il santuario mobile del popolo nel deserto (Esodo 33,11).
Ma il suo nome sarà sempre legato alle battaglie di Israele, a partire dalla prima esplorazione della Terra santa. Mosè, infatti, lo aveva solennemente investito come suo successore alle soglie della sua morte: «Mosè prese Giosuè, lo fece comparire davanti al sacerdote Eleazaro e davanti a tutta la comunità. Pose su di lui le mani e gli diede i suoi ordini, come il Signore aveva comandato» (Numeri 27,22-23).
Davanti a questo giovane "generale" ormai divenuto adulto e comandante supremo, si apriva la grande impresa, quella della conquista della terra di Canaan, un'operazione che è descritta nei primi 12 capitoli del Libro di Giosuè, l'opera che reca il suo nome in quanto egli ne è l'attore principale. Attraversato il Giordano secondo un rituale che evoca la traversata del mar Rosso, si assiste a una serie di stragi che lasciano perplesso il lettore attuale della Bibbia. È quella "santa" violenza, ricondotta a ordini divini, che prese il nome di herem o "anatema", una sorta di guerra santa che consacra a Dio in un colossale olocausto distruttivo tutto ciò che si frappone all’avanza di Israele.
Non bisogna certo prendere alla lettera queste pagine spesso epiche e retoriche (si ricordi il famoso ordine al sole di fermarsi, evidente espressione simbolica per parlare di un giorno che "non finiva mai", del "giorno più lungo"). È soprattutto necessario ricordare che la Bibbia non è una serie di tesi astratte su Dio, ma è la rivelazione di un Dio che cammina nella storia umana, piena di limiti, di vicende discutibili e violente. È per questa via "paziente" che egli ci fa andar oltre lo stesso Giosuè e l'antico popolo tribale, verso altri orizzonti di amore e di pace.
Divisa la terra conquistata tra le varie tribù, Giosue sente che la sua missione è compiuta. In un discorso-testamento, presente nel capitolo 23 del libro a lui intitolato, affida a Israele il compito di tener alta la fiaccola della sua identità religiosa. Poi a Sichem, davanti a tutte le tribù riunite nel santuario centrale di allora, celebra un atto solenne di alleanza tra Israele e il Signore.
È una pagina solenne (Giosue 24) in cui Giosuè pronunzia una sorta di Credo biblico e tutto il popolo risponde ripetendo la sua promessa di fedeltà al Signore, espressa attraverso il verbo biblico del culto e della fe-de, "servire" ('abad), ribadito ben 14 volte. Ormai la missione di quest'uomo, iniziata da ragazzo nel deserto del Sinai, era giunta a compimento. «Dopo questi fatti, Giosuè, figlio di Nun, servo del Signore, morì a 110 anni» (Giosue 24,29).
G.
Ravasi, Cuori inquieti, 46-48
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